Franco Patruno, dal catalogo “L’alchimia della metamorfosi”, 2003
Ci sono generazioni nomadi. L’affermazione non è solo accattivante, perché attraversare il tempo - e il paradosso dei nodi storici - è una vera vocazione. Certo, il cammino suppone la ricerca, e questa un orizzonte nel quale dispiegarsi senza censure o inceppi ideologici. Salvatore Sebaste, e seguo il prezioso itinerario segnato da Claudio Spadoni nel 1999, "è un nomade per intima esigenza, non per seguire le orme di una ritualità alla moda". Orga-nicità ed astrazione, a differenza della ormai consunta dialettica tra realismo ed informale, hanno caratterizzato gli anni della sua giovinezza. Come non avvertire l’urgenza materica di Guttuso, Levi e Migneco e, allo stesso tempo, dimostrarsi distratto di fronte al gesto che si getta in azione? Come dirsi assente, quindi, al richiamo del possesso degni inediti spazi dell’Action Painting? Se per non pochi politicamente accaldati si trattava di scegliere deci-samente una presenza, prossima all’engagè di sartriana memoria, per Sebaste prevalse la ricerca pura, anche se esitante, tra i contorni, pur espressionisticamente filtrati, della figu-razione umana, e il gusto quasi panico della materia, della chimicità del formarsi organico. Una vera passione per il ridefinirsi della forma stessa senza soluzione di continuità. Esitante dicevo, come per chi negli anni Cinquanta non ha ancora vent’anni e, dopo la conquista della giuridica maggiore età, segue non più il divenire ormai statico degli “ismi”, ma quell’esperienza Pop che sarà vero passaggio epocale per la riproducibilità già preconizzata da Benjamin e la virtualità come effettivo distacco dalla pittura-pittura. A dire il vero, anche questa descrizione rischia di essere a sua volta puramente virtuale, perché la varietà di accenti all’interno del movimento Pop non poteva considerare a lato l’esperienza inglese di Bacon e Sutherland, cioè la variante anglosassone del rivissuto drammatico dell’Espressionismo. Sebaste ha cultura, segue gli eventi come pittore ma pure come attento conoscitore ed organizzatore; non subisce, quindi, innamoramenti inconsulti e dogmatiche soluzioni pubblicitarie. Tra la molteplicità delle sollecitazioni, l’artista lucano, dopo l’inevitabile pulsione per la figuratività accesa ma non ideologizzata, ora sintetizza la poliedricità della ricerca compiuta; convinto quanto mai che l’approdo al reale tanto amato o, per meglio dire, al rapporto esistenziale tra l’umano sentire ed il crescere costante della materia, non esige contorni espliciti e riconoscimenti tradizionalmente decifrabili. Non c’è, per Sebaste, opposizione tra l’esperienza lirica del colore e la densità chimica delle sue forme fatte organismo vivente. E’ l’ormai logico su-peramento di ogni dialettica tra spirito e materia, ben sapendo che in un frammento cromatico che pulsa per plastificarsi in grumoso bassorilievo, il cuore del mondo rivela la sua trascendenza.