Giorgio Segato, dal catalogo “Tra Realtà e Magia del Segno”, 1994.

Questa fine di millennio vede il trionfo incontrastato della civiltà e della cultura dell’immagine: nel nuovo millennio essa sarà il medium d’ogni informazione e d’ogni atto, in infinite e rapidissime possibilità e combinazioni di trasmissione, comunicazione e manipolazioni sostitutive del rapporto diretto, sensoriale, con la realtà. Ogni forma di conoscenza sarà quasi completamente mediata. Di fronte allo strapotere dell’immagine, tuttavia, ancora si solleva qualche reazione poetica: ora in direzione di una restituzione di peso e di valore alla parola, ora con una sorta di analisi grammaticale dell’immagine stessa, alle cui origini si risale attraverso il segno, tornando ad accentuarne la tensione espressiva nei gesti elementari, evidenziandone i ritmi costruttivi, gli addensamenti, le rarefazioni, gli aloni, i percorsi che modellano lo spazio e lo traducono in atmosfera eccitata, in luogo di scrittura dell’uomo e del tempo.
Salvatore Sebaste compie questa risalita alle sorgenti recuperando un segno e un gesto primitivi, molto simile ai grafismi dei bambini e a preistoriche incisioni rupestri magico- rituali. Intende così ristabilire l’innocenza e la verità del segno, del gesto, di un’immagine, di un racconto.
Nei suoi quadri recenti c’è tutto un brulicare di tensioni vitali, d’umori che diventano colori, di metamorfosi che si stanno per compiere, di memorie che affiorano e si accumulano in superficie, di proiezioni dall’intimo, ora come urgenza espressiva, disvelamenti, ora come drammatizzazione di paesaggi visionari, entro cui realizzano le loro evoluzioni esistenziali figurine filiformi come tracciati d’energie e memorie archetipe. Il contesto è allarmato e allarmante, transmorfico e sensuale insieme, qua e là ancora con riferimenti costruttivi e paesaggistici percepibili (un mosso orizzonte, un sole, un edificio) ma più spesso è affidato alle intersezioni dei piani create dalle pennellate vibrate con gestualità rapida per lo più automatica, ma ben controllata e contenuta da una coltivatissima sensibilità per la misura, la quantità, i rapporti, il respiro. Ci sono riferimenti alle esperienze dell’art brut, dell’informale, così come del neoespressionismo segnico e materico rivolto ad un’archeologia dentro i sedimenti della memoria visiva e tra i segni d’arcaiche testimonianze di civiltà e di cultura figurativa; ma, soprattutto, Sebaste traccia sulla tela vettori forti e caldi come focolai, territori d’accumulo, d’accensione e d’espansione d’energia, di nuclei di vissuto, di grumi e slanci repressi e qui liberati, sollecitando una partecipazione sensoriale che si combina con la percezione interna, fitto dialogo tra tattilità ed evocazione, fisico ed atmosferico, sensuale e metaforico. La texture tende a montare in verticale seguendo l’impulso del gesto, e ad espandersi obliquamente in un gioco di guizzi, d’archi, d’attraversamenti, affondamenti, apparizioni e germinazioni repentine, concitate sequenze di vibrazioni segniche, cromatiche e materiche. Lo spazio diventa vortice proiettato nella dimensione profonda e temporale e insieme conserva sulla superficie in tumulto una forte reattività epidemica alla luce, come di territorio eccitato, parete murale ma anche tessuto organico, corpo vivo scosso da dense, ambigue ombre d’inquietudine.
Nei recessi d’ombra pulsa una crescita di forme, in contrappunto con la vertigine di paesaggi arrampicati, sintesi d’immagini oscillanti fra l’intuizione di un malessere esistenziale e il desiderio di penetrazione e partecipazione assoluta, con soprassalti di turbamento, serpeggianti sottili timori, insinuanti ironie.
In tal modo il segno di Sebaste scardina ogni realtà confezionata, apre ferite profonde nel tessuto dell’immaginario comune, suscita disfacimenti nell’ovvio e scontato, restituisce il senso di una realtà esplorata e, al tempo stesso, la magia di una gestualità evocativa e propiziatoria che scarica alta tensione in uno spazio inteso come organismo totalizzante, continua tra interno ed esterno, fisico e psichico, rifondando le ragioni della pittura.