Anoall Lejacard, dal catalogo “Perturbazioni e combinazioni imprevedibili”, 1994.

Conobbi l’artista Sebaste nel 1979, in Olanda, nella “Galleria Tardy” di Enschede, all’inaugurazione di una sua personale in cui esponeva oli su tela, disegni e tempere. I dipinti erano rappresentazioni di folklore, di tradizioni popolari, di feste religiose, di credenze e costumi del suo paese. Egli ci spiegò il significato antropologico delle sue opere e incuriosì me e gli altri visitatori della mostra.
Ricordo ancora oggi di quella rassegna alcune scene di squallore, figure o pupazzi con sguardi assenti su sfondi bianchi, paesaggi o interni appena accennati da una linea sottilissima nera, peperoni di un rosso struggente e aglio e cipolla appesi a porte fantasmi e il tutto avvolto in una luce violenta, tormentata che solo l’atmosfera del Sud sa rendere. Quei quadri esprimevano anche la tremenda storia dell’ironia di un ambiente e di un popolo dove Sebaste vive e da cui trae gli stimoli per i suoi lavori.
La mia curiosità, nata quella sera, fu soddisfatta solo dopo aver approfondito lo studio antropologico del Sud d’Italia e in particolare della Basilicata e successivamente quando visitai quelle zone, restando incantato di fronte al paesaggio, agli abitanti, a tanta bellezza dove la fantasia si fonde facilmente con la magia.
lo da quella mostra ho sempre seguito il curriculum artistico di Sebaste dai dépliant delle sue esposizioni che mi ha spedito assiduamente e posso affermare che l’artista nelle sue opere, anche se con espressività diversa, non ha mai dimenticato i “Sassi” di Matera, i calanchi, le magie, i diavoletti coi cappuccio rosso. I vari cataloghi evidenziano l’impegno costante e la ricerca continua e, risalendo alle opere degli anni Sessanta, ci accorgiamo che le forme dipinte si trasformano, diventano più ambigue, più materiche, più informali sino a prediligere il gesto dettato dal movimento del braccio e del corpo, senza però mai trascurare “l’uomo”, questo essere che considera nell’insieme e nei dettagli in continuo rapporto con la natura.
Durante l’estate del ‘93 sono ritornato in Basilicata e ho, quindi, incontrato l’artista nel suo studio a Metaponto, intento ad elaborare con pastelli a olio appunti sull’uomo, sul suo comportamento sociale, sul suo adattamento ecologico e sulla capacità di trasformare l’ambiente in modo vantaggioso per sé, ma spesso nocivo per la comunità.
Secondo me Sebaste, in questo periodo artistico, ritorna con maggiore evidenza alle sue radici, rivisita con la memoria i sogni fatti da ragazzo, li proietta fuori del suo inconscio, li unisce a impressioni ed esperienze della sua vita e li mescola in perturbazioni e combinazioni imprevedibili. Si tratta di un artista che torna a criticare il formalismo della tradizione del suo paese ed opera con ascendenze surrealiste e concettuali apprese dall’esperienza attraverso la conoscenza di artisti non solo europei. Egli tenta di creare a un nuovo stile in cui l’apparenza etnica non è dei tutto repressa, ma rivalutata in virtù di una dichiarazione di appartenenza ad un luogo che è vita e cultura.
In questa ricerca i soggetti dei dipinti sono molto fantastici e sono una satira della società contemporanea. L’artista si esprime in racconti pittorici, come fece negli anni Sessanta o quando traduce i suoi studi in acqueforti che pubblica in libri e cartelle d’arte con scritti di narratori e poeti. Alcuni di questi libri d’arte recentemente sono stati pubblicati a The Museum of Moderna Art di New York.
Tra le opere viste, ho particolarmente notato: “La donna che spia” (una testa di donna disfatta nella forma come il paesaggio del “Sasso”, mentre sul muricciolo in primo piano emerge un ramarro verde, unica testimonianza di vita e di speranza); “La discesa di topi” (volanti in un paesaggio da sogno, abbandonato in una sorta di continuità sentimentale che annulla i trapassi spaziali); “I cantastorie” (frammento di realtà superata dalla tecnologia che l’artista recupera sulla carta come frutto della sua fantasia. Le figure sono scomposte in un ritmo serrato, le immagini si affastellano e si accavallano come nei ricordi, senza ingenerare la minima impressione di disordine); “Il Carnevale di Tricarico”, (dove il colore, esaltato in tutta la sua gioiosa pienezza, si accende di riverberi luminosi, s’impreziosisce d’incandescenza colorata d’oro, costruisce l’immagine e avvolge l’atmosfera sempre impregnata di tenerissima nostalgia e di ricordi indefiniti e lontani.
Con questi lavori, che potrebbero sembrare un discorso nostalgico per qualcosa di perduto e non più ritrovabile, l’artista con sensibilità professionale interpreta la nostra società piena di insidie, così sgretolata nel disordine ambientale e nella sopraffazione individuale, convinto assertore che solo la conoscenza delle proprie origini e l’approfondimento storico del comportamento umano possono decidere il futuro dell’umanità.
lo penso, conoscendo la dinamicità dell’artista, che queste opere siano il risultato di un momento di riflessione che in futuro darà vita e vigore a nuove ricerche.