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Leonardo Sinisgalli, dal catalogo “Archetipo in piega rossa”, 1977

“Delle tante opere che mi mostrò, in casa e in villa, mi scelsi dietro sua gentile sollecitudine la più piccola, una teletta quadrata di un paio di palmi, tumida come le altre, rigonfia cioè lungo una linea che puntava in alto e che sembrava alludere a una vela azzurrina su un fondo verdiccio. Poteva far pensare a un plumbeo Carrà. Quando me la portai nella mia stanza l’operina, più intensa e più severa ogni giorno che passava, mi costrinse a precisare il campo di riferimento. E per trovare qualche spunto da suggerire al mio amico cercai meglio ancora di fissare nel firmamento una stella cui abbinarla, di cui potesse considerarsi un poco consanguinea. Mi fermai a Prampolini, perché era troppo evidente l'aspirazione a rifiutare qualunque analogia terrestre. Poi feci anche un altro nome in una lettera (so per esperienza che non bisogna mai temere i confronti, specie i più duri, quelli che ci danno sconfitti in partenza): e fu quello glorioso di Kandinskij che in quei giorni, ammaliato come ero io dalle profondissime riflessioni che il Maestro aveva dedicato al Punto, alla Linea, alla Superficie, vedevo come il Dio responsabile di tutto il Nuovo che s'era scoperto nello spirito dell'Arte. Dissi dunque a Sebaste di accostarsi devoto alle larghe cosmogonie di Kandinskij e al laboratorio di Prampolini, perché mi sentivo sicuro che avrebbe tratto grandi vantaggi, avrebbe allargato i poteri delle sue pupille e della sua mente, e naturalmente della sua mano, proprio per via della conoscenza fatta da vicino e con assiduità dell'opera dei due insigni speculatori delle Forme e delle Materie non convenzionali. “Ricorda - gli dissi - che Burri non è partito da molto più lontano: s’è rifatto a Prampolini più che a Dada”. Gli straccetti di Schwitters per Burri potevano aver avuto la stessa suggestione delle carte masticate di Prampolini per Sebaste. E Sebaste, davvero aveva fatto una indigestione di cartapeste (forse la nascita leccese) fino a far concorrenza ai leggendari lotofagi. La Lecce di Sebaste può sempre servire ad accrescerne i connotati (non sono mai troppi) come appunto l’Umbria, proprio quella francescana, di Burri. Me ne sono andato errando tra Agri, Sinni e Basento e lungo le sponde dello Ionio per trovare una qualche ragione - come il Cavaliere Inconsolabile - della paturnia, della tetraggine, della vichiana inopia di Sebaste. Mi dicevo: - quest'uomo è stato sconvolto da cose che stavano nell’aria; a quest’uomo è stato negato l’éclat, gli è stata applicata la maschera dell’eterna Insoddisfazione. E ho avuto pietà del mio amico, di cui, tuttavia, in qualche interstizio, in qualche spiraglio - uno schizzo buttato sulla tovaglia di una trattoria, una sagoma tracciata con la punta del dito sulla sabbia, un frégo sulla parete dello studio – mi s{orzavo di scorgere, di scoprire un principio di salvezza. Sarei andato brancolando tra infiniti richiami, tutti attendibili, tutti seducenti (basta che nomini Ernest e Dubuffet) e avrei continuato ad attingere dappertutto, alle riflessioni di Bianchi - Bandinelli sull’obsolescenza delle monete e delle medaglie, e di Fantappié sull’Entropìa, mi sarei affidato ai minimi appigli, alla siderurgia e alla chimica che nei dintorni avevano alzato le loro torri lucenti, se, un po’ per caso e un po’ per miracolo, nella mia ultima visita a Bernalda, l’altro ieri, Sebaste non mi avesse aperto davanti agli occhi una pingue cartella di incisioni del ‘78 e del ‘79 con le ultimissime prove di rilievo e di colore. Forse in sogno, forse nel dormiveglia trascinato da una forza improvvisa e fatale il mio amico ha finalmente scoperto il colore, è riuscito a sollevare quel tetro manto o panno o velo di polvere che gli ha negato per tanti anni il gusto della creazione e, probabilmente, la gioia di vivere.
Il Mostro ottuso è stato umiliato dall’intelligenza di Apollo. Ora, dopo gli sporadici approcci al dialetto, varcato il calvario dell’inespresso, rotta la cecità della materia degradata, lo scoppio dell’allegrezza, del colore, segna il principio di una vita nuova. Sebaste può ora conciliare istinti e calcolo, mediare gentilezza e forza. I tufi pugliesi e le crete basilische sono lievitate dalla luce dell'aurora. La salute è tornata a fiorire.
Concludo che bisogna capire e aiutare a capire Sebaste (come altri suoi coetanei): poche scoperte sono state così sconvolgenti come L’Ermetismo in poesia e l’Informale in pittura”.