Rino Cardone, dal catalogo “Carta & Cartoni”, 1996
È decisamente riduttivo parlare di semplice cartapesta di fronte a un’opera di Salvatore Sebaste. I suoi lavori sono qualcosa di più complesso; sono qualcosa che va oltre la semplice tecnica della carta macerata, impastata con la colla e poi pressata e infine modellata. Sono insomma arte pura. Del procedimento artigianale della cartapesta, certamente ereditato da Salvatore Sebaste dalla sua origine salentina, resta ben poco. Egli, infatti, interviene sui materiali in maniera decisa: con colori ad olio, acrilici e segni di matita. Talvolta sottopone la carta all’azione del fuoco. L'opera finale risulta per questa ragione un qualcosa di indeterminato, un qualcosa che sfugge dalle dinamiche dell’”atto utilitario”. E per questa ragione stessa - come ricordava Benedetto Croce - l’opera, non avendo nulla più a che vedere con I’“utile, finisce con il mirare esclusivamente al raggiungimento del piacere: che è “visione”, “contemplazione”, “immaginazione”, “fantasia”, “figurazione”, “rappresentazione", e via dicendo. Le primissime composizioni realizzate da Salvatore Sebaste con questo mezzo espressivo, quello appunto della cartapesta, risalgono agli anni ‘70.In quegli anni l’artista avviò una ricerca che progressivamente doveva allontanarlo dal linguaggio pittorico-espressionista della propria origine. Smise così di raccontare il mondo contadino e di denunciarne le sue contraddizioni, per incamminarsi in una sorta di indagine sistematica e astratta della realtà. Da quel momento in poi Salvatore Sebaste “ruppe” con i canoni classici della pittura per affidarsi a una serie di speculazioni sui rapporti geometrici che esistono tra l’alto e il basso, tra lo stretto e il largo e tra il profondo e il piatto. Già da quei primi lavori l’artista prese a utilizzare la carta quale elemento fondamentale del suo dipingere e fare arte. . E da subito portò quella ricerca ai limiti estremi, con l’introduzione nel quadro dì frammenti di materiali estranei alla pittura quali ad esempio la sabbia. In ogni caso il suo linguaggio non ha mai sposato completamente le istanze della pop-art, né tanto meno dell’arte concettuale. Egli è stato sempre fedele a se stesso: alla sua natura di artista che si emoziona di fronte alla vita. Con Arthur Schnitzler potremmo a questo punto ricordare e sottolineare le qualità pittoriche dì Salvatore Sebaste, con i tre criteri che definiscono un’opera d’arte: la coerenza, l’intensità e la continuità.
Questi tre elementi non sono mai mancati a questo pittore che ha fatto della carta e del cartone, insieme al colore, la sua “seconda pelle”. Se questa dovesse venire a mancargli egli sarebbe un uomo del tutto indifeso, senza più barriere di fronte a un mondo pieno di contraddizioni che intanto non hanno la meglio su di lui perché egli ama i voli pindarici, le pure visioni, Ie immagini della mente e i fantasmi della memoria. Salvatore Sebaste anche oggi che è lentamente approdato a felici “policromie plastiche” (opere a tutto tondo in cui esplica una forte azione dirompente in termini estetici) conserva la coerenza stilistica delle sue precedenti ricerche. Diciamo che la forma ha preso in lui raramente il sopravvento sul colore e che la forza delle sue opere sta in un’interessante combinazione di luci e di segni, nonché di strati su strati di carte e di cartoni.
Vedendo questi lavori la mente corre inevitabilmente verso quei “papier collé”, dei quali furono maestri Picasso, Boccioni e Balla. Salvatore Sebaste non adotta però la linea dei “collage”, tipica sia del cubismo sintetico sia del futurismo, per privilegiare invece il linguaggio della forza espressiva: quello in grado di restituire alla pittura il suo primato sulla tecnica.
Diciamo allora che il maggior merito di questo artista è proprio quello di non essersi lasciato sopraffare dal fascino di una metodica creativa - quale appunto può essere la cartapesta - per “correre” invece negli spazi incontaminati del puro colore: questo significa “gioco” di toni su toni e di tinte su tinte. Il dripping è per lui un utile ghirigoro, che va ad arricchire lo spazio semantico della sua opera. Il colore viene sgocciolato da Salvatore Sebaste (all’interno dei suoi lavori) in maniera tale da creare una “suggestione” o un “movimento” dentro un impianto cromatico svolto su una serie di piani su piani. A determinare questi livelli non è solo lo spessore delle carte, ma anche la sovrapposizione delle masse pittoriche. C'è poi ancora nelle sue opere un interessante intrigo di segni: che non sono solo pittura su pittura, ma colore asportato, “graffiato” da quella che è la materia grezza (a sua volta distesa sul cartone o sulla cartapesta). In venticinque anni di lavoro dentro quella che i francesi chiamano la “papier mâché” (e cioè la pura cartapesta) Salvatore Sebaste ha sviluppato vari linguaggi. E' passato dalla diafanità dei bianchi assoluti, alla carica coinvolgente dei colori primari, fino a giungere alla fantasmagoria dei viola, degli arancioni e delle tinte cremisi e scarlatte e ai neri bituminosi. Sempre, in tutti questi anni, ha raccontato la dimensione di un ideale mondo post-metropolitano: di un mondo che alla fine riuscirà a comprendere le contraddizioni del vivere quotidiano e che inevitabilmente farà la scelta di tornare alla natura, al piacere dei sensi e alla intensità delle passioni. Abbandonando per questo ogni logica di profitto”.
Una lezione quella di Salvatore Sebaste che sentiamo di dovere fare nostra.